Oggi
ho assistito ad un'interessante convegno con un intervento
illuminante. Il convegno era organizzato da Nuove Arti Terapie e
aveva per titolo: "Arteterapia:
Conoscenza di sé tra percezione ed espressione". L'intervento,
di Camilla Urso, "Esilio.
Genealogia della madre" è stato introdotto con questi suoi bei versi:
Che
sia a volte necessario un esilio per far nascere una madre?
Non lo so.
Non è una risposta quello che cerco ma un posto
al dolore di
questa domanda.
Lo trovo forse qui quel posto.
In questo pezzo di
terra
scampato alla furia della fragilità materna.
In questo tempo che
non consente più di precipitarsi a rammendare gli strappi.
Ma solo di
stare tra le macerie e concedersi di Attendere.
(Camilla Urso)
Parafrasando
Camilla, che sia necessario un viaggio per far nascere un
adulto?
E'
strano, ma la prima cosa che mi viene in mente è che per fare un viaggio serve una guida. La seconda è che non c'è adulto
senza bambino. Che il bambino è più vecchio dell'adulto, pur
essendo più giovane. E si sa, i vecchi possono essere saggi. Allora,
c'è da mettere da parte un po' dell'arroganza dei grandi per
ascoltare ciò che hanno da dire i bambini? Certo, se i bambini sono
abituati ad essere ascoltati parlano, ma se trovano muri al posto di
orecchie si chiudono e finiscono in luoghi oscuri, bui da cui si
vedono solo le loro ombre e si odono solo i loro echi. Allora, io
penso, bisogna che l'adulto faccia un viaggio per andare alla ricerca del bambino che magari si è nascosto dietro un mobile antico di una cantina buia dell'anima.
Camilla parlava del fatto che quando si è madri si provano tante
cose, dalla gioia al dolore, dall'entusiasmo all'angoscia, dalla
speranza alla disperazione ma che solo una parte di questo ventaglio
di emozioni può essere raccontata facilmente, quella che
tranquillizza con i suoi stereotipi (istinto materno, la bellezza
della maternità, la gioia della nascita..). Anche sui bambini ci
sono tanti stereotipi. Quando ero piccolo io spesso sentivo i grandi
dire che "i bambini non hanno pensieri", "i bambini
sono innocenti" e cose ti questo tipo. Io penso che naturalmente
pure i bambini spesso sperimentino angoscia, disperazione, paura e
che abbiano tanta difficoltà a trovare orecchie che ascoltino. E
l'adulto che è in noi, è disposto ad ascoltare il lamento doloroso
del bambino che si porta nell'anima? Fare il viaggio, chiamarlo con delicatezza per farlo uscire e finalmente ascoltarlo, guardarlo, comprenderlo?
E' questo che significa
diventare adulti?
MM
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