mercoledì 24 settembre 2014

Paveo, ergo sum!

Ho paura, dunque sono!














La paura è un'emozione fondamentale per la sopravvivenza. Dal punto di vista adattivo forse la più importante in quanto ha la funzione di segnalare pericoli e di preparare l'organismo ad un'efficace risposta. Come è noto tre sono le risposte che l'organismo organizza in reazione ad un evento o ad un soggetto pericoloso: fuga, attacco, immobilizzazione. La fuga ci allontana dal pericolo, l'attacco ci fa lottare col pericolo, e l'immobilizzazione è un tentativo estremo di mimetizzarsi e rendersi immune agli attacchi di un predatore. Certi animali utilizzano il freezing per simulare la morte sperando che un predatore preferisca animali vivi a quelli morti (a volte succede). 
Non voglio entrare in modo approfondito nel merito dei meccanismi fisiologici della paura, voglio parlare di una particolare scelta di vita: IL VIVERE CON PAURA. In questo caso la paura, da emozione che protegge e che serve a indicare pericoli diventa un sistema che si auto alimenta di se stessa andando alla ricerca di pericoli che sostengono la sua tesi: il mondo è pericoloso ed è necessario proteggersi. La paura diventa quasi un tratto identitario del mio modo di essere e di relazionarmi con il mondo. E si sa della nostra identità ci affezioniamo e tendiamo a proteggerla. 
A pensarci bene la paura è l'emozione di base di questo stile di identità ma il meccanismo psicologico messo in atto è quello del controllo. Controllare è utile per proteggersi, ma controllare può diventare un'ossessione al di là di pericoli reali. Controllare, serve in questo caso, a difendersi dai pericoli potenziali. Ovviamente i pericoli potenziali sono, scusate il gioco di parole, potenzialmente infiniti. C'è sempre qualcosa da temere. Naranjo chiama questo stile di vita, tipico di un particolare carattere di pensiero, codardia, ovvero l'atteggiamento del mettersi in coda, per ultimo, non davanti, nè in mezzo a quello che c'è da affrontare, ma giù in fondo sperando di non venir toccati. E' chiaro che se in guerra la codardia può salvare la vita, nella vita la codardia impedisce la vita. Se la vita è piena di pericoli potenziali, questa non è un dono da vivere bensì un'insieme di cose mostruose da controllare nella vana speranza che più posso controllare più sono al sicuro.  
La codardia fa uso della più grande qualità umana che è la creatività per l' invenzione di sistemi difensivi apparentemente ragionevoli che servono a progettare la difesa dal pericolo nell'illusoria idea del controllo (illusoria per il semplice fatto che i meccanismi che regolano l'universo sono talmente tanti e talmente sconosciuti che quelli che possiamo controllare si contano sulle dita delle mani). 
Io credo che paradossalmente il controllo estremo sia un mezzo utile a non sentire la paura. La paura se la si sente e la si accoglie può essere fonte di saggezza e ispirare scelte funzionali. Se si evita di sentirla fino in fondo, man mano aumenta di spessore fino a rendere incapaci di distinguere ciò che è reale da ciò che è immaginato (tipicamente i paranoici proiettano all'esterno, su un nemico, le proprie paure interne). 

I quattro sistemi più frequentemente utilizzati ed efficaci per alimentare il controllo sono la fede cieca, la guerra paranoica, la medicina ipocondriaca, il ritiro dal mondo. 
La fede cieca è un atteggiamento per il quale tutto dipende dal volere di entità (divine o no) superiori. E' l'atteggiamento religioso di chi spera in un padre che guarda tutto e salva quelli buoni. Affidare tutto a dio in modo cieco, ovvero senza nemmeno chiedersi troppo chi è dio, (ovviamente la spiritualità praticata con consapevolezza è tutt'altra cosa) può talvolta essere un modo per rinunciare a scegliere e ad attraversare i pericoli dell'esistenza. Credo che questo tipo di fede sia un buon sistema di anestesia dalla paura.   

La guerra paranoica, forse è l'atteggiamento con cui più o meno tutti facciamo i conti. E' il vedere nemici negli altri. L'altro ti vuole fregare, fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Per fare un'esperienza di guerra paranoica basta farsi un giro in macchina a Roma a qualsiasi orario. Ovviamente anche questo è un modo per interrompere contatto con la paura. Anziché guardarsi dentro e vedere di cosa si ha paura e fare scelte consapevoli e responsabili, si schizza tutto all'esterno contro pericoli che si possono maneggiare e abbattere! 

La medicina ipocondriaca è l'atteggiamento di chi vuole controllare il proprio corpo e le proprie malattie in un modo ossessivo. E' l'ossessione per la salute che fa andare a caccia di malattie. Ovviamente farsi vedere da un medico fa bene. Ma se si ascolta il proprio corpo allora si può andare dal medico perché c'è qualcosa del proprio organismo che ci guida. Qui credo faccia la differenza la misura del controllo che da funzionale diventa ossessiva caccia alle streghe per la quale il proprio corpo assume i connotati del campo di battaglia in cui avvengono le malattie da sconfiggere piuttosto che il sacro tempio del nostro esistere. 
Il ritiro dal mondo è l'atteggiamento di chi non vota, di chi non vede mai nessuno, di chi si isola, di chi rinuncia alle relazioni perché tanto non serve a nulla. E' meglio starsene per gli affari propri perché tanto qualunque cosa si faccia si prendono pesci in faccia dalla vita. Ritiro dal mondo è anche rinchiudersi nella routine delle proprie certezze anche se queste ormai hanno un odore di muffa e rendono la stessa vita un'esperienza vuota, noiosa e dolorosa. Ma questo è sempre meglio della paura. 

Credo che in comune questi quattro sistemi abbiano una cosa cioè che il problema non sia tanto la gestione dei pericoli, piuttosto la gestione della paura. Cioè abbiamo paura di vedere in faccia la paura piuttosto che di affrontare i pericoli. E' paradossale ma comprensibile. 
Ho spulciato l'etimologia e paura ha a che fare con pavus, che è anche la radice di pavimento. Paura significa cadere di faccia sul pavimento. E mica è facile se non si ha fiducia che ho le risorse e le qualità per difendermi mentre cado. Se solo però, durante la caduta, ascoltassimo quell'attimo in cui siamo in volo, chissà quante quali la paura avrebbe da dirci. Chissà magari durante il volo potrebbe farci indossare ali di curiosità per vivere la vita in modo aperto.  

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