Nel
cosiddetto Bel Paese, ci sono migliori condizioni di benessere nelle
grandi città o nei piccoli comuni? C'è innanzitutto da capire cosa
si intende per benessere.
Se provo ad
interrogare il linguaggio comune, scopro che per benessere si
intendono due cose distinte e forse niente affatto assimilabili. Nel
primo caso mi tornano alla mente espressioni come “benestante” o
“benessere economico”. Si fa evidentemente riferimento ad una
condizione economica vantaggiosa, con buoni profitti e altrettanto
buona capacità d'acquisto. Nel secondo caso, invece, mi vengono in
mente espressioni “di benessere” che qualificano l'“essere”
come “buono”. Si aprono considerazioni esistenziali e
psicologiche ampie che non posso approfondire in questa sede. Ma
brevemente si può dire che il “benessere” esistenziale è lo
stare bene al mondo, ossia il vivere “bene” la propria esistenza,
avendo un buon rapporto con se stessi e la propria natura e
caratteristiche, e una buona relazione con gli altri
del proprio contesto.
Vorrei
dunque tentare di rispondere alla prima domanda di questo breve
articolo prendendo in considerazione queste due forme di benessere e
magari, tentare di capire se sono davvero correlate.
Guardando
le statistiche Istat sulla qualità della vita pubblicate nel 2009 si
scopre che mediamente nelle grandi città si guadagna di più, si
spende di più in termini di consumi e ci sono maggiori opportunità
di lavoro. Sembrerebbe dunque che la città offra condizioni di
“benessere economico” migliori rispetto ai piccoli comuni.
Osservando con maggiore minuzia scopriamo però che le città sono
mediamente più care dei piccoli paesi, soprattutto per ciò che
riguarda i tasti dolenti dell'acquisto, affitto e gestione della
casa. Se dunque riparametriamo i dati e chiediamo alle persone, come
ha fatto l'Istat, di dirci “in quali condizioni economiche riescono
ad arrivare alla fine del mese?”, ci accorgiamo che nelle città
più del 40 % risponde di arrivarci “con difficoltà” e che la
stessa risposta, nei paesi la dà “soltanto” il 30 % delle
persone.
Dal
punto di vista del benessere esistenziale, consultando le statistiche
ufficiali, che seppur non danno conto all'esperienza soggettiva
raccontano di alcuni parametri interessanti in tal senso, scopriamo
che nelle piccole città ambiente, sicurezza, rumori, siano
mediamente percepiti come migliori rispetto alle grandi città. Le
grandi città sono dunque percepite dagli italiani come più
inquinate, maggiormente rumorose e meno sicure che le piccole città.
Rispetto
alla nostra discussione, un altro dato interessante riguarda invece
la percezione della salute, dell'uso del tempo e della qualità dei
rapporti sociali. Anche qui il dato sembra favorire i piccoli comuni
italiani rispetto alle grandi realtà. I primi sono infatti luoghi in
cui la salute è migliore, c'è maggiore tempo personale a
disposizione e in cui i rapporti sociali sono più semplici e
profondi.
Sembra
dunque che nelle piccole città si viva meglio rispetto alle grandi
città. Come mai allora, molte persone decidono di vivere nelle
grandi città?
Io
credo che si possa rispondere consultando i miti che avvolgono le
grandi città: migliori condizioni economiche, maggiori opportunità
di crescita personale e culturale, migliori offerte formative e
maggiori divertimenti. Le città allora diventano luoghi dove
nell'immaginario collettivo ci sono maggiori svaghi e opportunità
culturali, luoghi in cui la mente possa nutrirsi di esperienze che
possano accrescere le condizioni personali di benessere (nelle due
accezioni in questo caso). Le statistiche dunque sfatano questi miti,
allora deve esserci qualche altra ragione. Una mi sembra la seguente:
la vita in città offre sensazioni di maggiori gradi di libertà e
autonomia. Andiamo
con ordine. I piccoli paesi offrono maggiori contatti in termini di
relazioni sociali ma, e questa è anche la mia esperienza personale,
l'altro lato della medaglia è un senso di controllo sociale che può
essere percepito come limitante l'autonomia, la creatività e lo
spirito di iniziativa personale. Nei piccoli comuni c'è
probabilmente maggiore “calore” sociale, ma anche minori
movimenti nella direzione del cambiamento
e del
nuovo.
Ma,
probabilmente, ancora, c'è da sfatare dei luoghi comuni sulle
relazioni che si possono instaurare nelle grandi città. Direi che se
è vero che nelle grandi città sia più difficile instaurare nuove
relazioni rispetto ai piccoli paesi, non è vero che in città i
rapporti siano necessariamente meno profondi, scarsamente dotati di
affetto o meno “protettivi”. La differenza, a mio avviso, è che
nella città le relazioni significative sono diffuse
nello spazio e nel tempo.
La maggior parte dei contatti sociali nelle piccole città è con gli
“amici di sempre”, nelle grandi città invece i contatti più
frequenti del quotidiano avvengono con perfetti o quasi perfetti
sconosciuti. Dunque penso che nelle grandi città i rapporti caldi
esistano, solo che sono diluiti nel tempo e nello spazio.
Le
relazioni interpersonali possono essere rappresentate come reti
sociali, e se nei piccoli comuni le maglie sono fitte, nella grandi
città le maglie, seguendo il mio ragionamento, sono più larghe. Le
reti, come si sa, offrono sostegno e protezione (si pensi a quella
magnifica metafora della società che è il circo, ed in particolare
ai trampolieri che cadono dall'alto), ma sono anche gli strumenti per
ingabbiare, intrappolare e impedire il cammin
o verso la libertà.
Il
benessere è un'esperienza soggettiva e rispondere se sia più facile
vivere tale esperienza nelle grandi città o nelle piccole città,
non è facile. Ma forse una chiave di lettura può essere offerta da
quanto come individuo si desideri vivere in contesti con reti a
maglie fitte, che offrono garanzie di supporto, sicurezza e
stabilità, ma anche controllo e cambiamenti più lenti, o con reti a
maglie larghe, che grazie ad un minore controllo sociale possono
offrire maggiori possibilità in termini di crescita, iniziativa,
creatività, certo, a scapito di rapporti caldi più frequenti.
All'individuo
l'ardua sentenza.